Gesù, per dire che se ne andava, per salutare e per riassumere il senso di tutto quello che aveva detto e fatto tra noi, prese del pane e del vino. E con quel pane e quel vino ci disse il suo Testamento. Senz’altro non è stata una pensata dell’ultimo momento. Quella che noi chiamiamo Eucarestia deve essere stato un suo sogno a lungo coltivato. Certo, non l’avrebbe sognato se fosse nato e cresciuto in luoghi in cui non cresce il grano, se non avesse avuto nelle narici il profumo del pane, se non avesse amato le cene (sia con gli amici, sia addirittura con chi sospettava di lui e comunque non sembrava degno di lui) e se sul pane e sul vino non avesse appreso certe belle storie che il suo popolo ricordava e trasformava in ballo nelle feste. Da dove veniva e dove portava il sogno di immaginare l’umanità tutta riunita a cena nella casa del Padre? Come cammino o itinerario di Avvento e di Quaresima, la nostra comunità quest’anno vorrebbe scoprire queste cose, come se fosse la prima volta. È importante. Del resto che cosa facciamo la domenica, come comunità, se non disporci attorno a un tavolo con sopra un po’ di pane e di vino? Addirittura quello che ci viene proclamato e commentato, quel che cantiamo, quei piccoli gesti che facciamo, quei silenzi che ci ridanno respiro, arrivano sempre a quel pane e a quel vino. Addirittura a un certo punto ci mettiamo in fila: non per dire che la messa sta per finire, non per fare come facciamo spesso in settimana (quando sembriamo camminare a zig zag, anonimi e quasi in fuga da un qualcosa che non sappiamo bene definire, ma che ci appare minaccioso). Ma per esprimere il senso di una strada ritrovata, la gioia di non essere soli, la sensazione netta che Qualcuno là davanti sa dove portarci. Alcuni di noi poco tempo fa hanno avuto la fortuna di camminare sulle orme di Gesù, là in Palestina. È un’esperienza che auguriamo a tutti. Ma non è comandata, come il viaggio alla Mecca. E’ bello però che qualcuno senta come uno dei desideri grandi della sua vita vedere il lago Tiberiade, sostare a Nazareth, sgranare gli occhi sul deserto che sembra confinare con l’immensità, vedere e inginocchiarsi al Calvario e alla Tomba vuota...
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Lo possiamo fare anche senza essere fisicamente là, se il nostro cuore comincia a scaldarsi, se i nostri piedi cominciano a sentire che la terra che calpestiamo qui è comunque la terra dell’Incarnazione e che le persone che incontriamo sono le stesse che Lui sta guardando adesso e che già aveva nel cuore allora. Pane e vino. Tavola e umanità. Dio e uomo. Vorremmo arrivare alla Pasqua con una voglia grande di Eucarestia. Non che adesso la sospendiamo, anche se forse sarebbe bello sospendere perché ne abbiamo presa troppa. Spesso infatti ci chiediamo se davvero ne sentiamo ancora il gusto. Qualche volta ci accorgiamo di essere in fila per la Comunione senza essercene quasi accorti. Un po’ di digiuno eucaristico ci farebbe anche bene. Ma se il pensiero di questo digiuno ci rattrista, vuol dire che siamo sulla buona strada. Come sentirmi comunità senza quel Pane? Come avviare la settimana senza quel gusto in bocca che mi fa dire:”Gesù, tu sei per me buono come il pane. Aiutami a fare di ogni mia giornata un boccone di pane, buono almeno per gli uccelli dei campi, ma soprattutto per il povero che è alla disperata ricerca di una briciola di esso”. Allora, arrivare a Pasqua con il desiderio di fare Eucarestia, avrà per tutti noi il sapore di aver fatto un viaggio lungo, da qui a Gerusalemme, da Gerusalemme a tutto il mondo, da ogni luogo del mondo alla casa della Cena. E faremo festa in tanti, con la voglia che è la stessa di Dio: che i tanti siano i tutti. Sarà la mia comunità a dirmi che non sono solo in questo viaggio. E se qualcuno di noi, a causa magari di una educazione che insisteva troppo sul nostro essere indegni di far la Comunione, si “butta” su quel pane perché finalmente ne ha troppa voglia, questo itinerario resterà per lui e per la comunità una benedizione. L’importante è decidere di partire. Uno potrebbe partire per Gerusalemme e fermarsi sostanzialmente a Tel Aviv. No. Noi, anche come piccola famiglia all’interno di una comunità più grande, chiediamo al Signore la grazia di partire e di essere aperti a tutte le sorprese che un viaggio comporta.
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