Quando si ha la fortuna di sedere a tavola e di fare festa davvero o quando, anche nelle condizioni di tutti i giorni, capita la ventura di regalarsi a tavola, reciprocamente, tempo e spazio autentici, può capitare di fare esperienza della bellezza di poter condividere i corpi e gli spiriti, il cibo e la vita, le parole ed il cuore. E si può fare esperienza autentica e viva della grazia che è tutto questo. Grazia, sì, grazia. Perché si tocca con mano che può scaturire da ciò che si vive la gioia ed il gusto della vita. Può scaturire, può sopravvenire, può "capitare" come un dono, come realtà inattesa, regalata, donata, che si diffonde, come per incanto. Ciò che avviene diventa luogo e spazio nel quale si sperimenta che la bellezza della vita è il dono: la gratuità che sopravviene e trasforma, cambia ed apre la percezione della vita, dona di poterne scoprire la bellezza e di poterne condividere la gioia. Ci può essere una scintilla che fa scaturire tutto questo. O a farla nascere può essere la gratuità di qualcuno, la sua generosità, la sua bellezza. Può essere anche la semplicità e la verità piena di amicizia della mensa. O la sua sontuosità piena di cura. Ma tutto questo avviene davvero se, poi, ci si lascia prendere dal gioco, se si entra insieme nella danza, se si accetta di condividere la festa. Se non lo vuoi tu, ti togli dal gioco. Ma, se pure può capitare con questo che non possa impedire del tutto il fluire della festa e del gioco, ne togli almeno un poco la bellezza, ne riduci la radiosità, ne diminuisci la ricchezza. Se, invece, in questa esperienza lasci che la grazia di ciò che vivi ti apra davvero alla scoperta della gratuità che sta alla radice della vita e diventi gratitudine, ti lasci travolgere dal mistero della vita. Perché ti concedi di toccare le radici della vita e, preso da esse, lasci che siano esse a consegnarti la possibilità di leggere il tutto della vita. Gratitudine è proprio questo: fortuna, grazia di poter leggere la vita come dono, con la gioia di vivere questo. Accorgendoti che questo è proprio un dono, non qualcosa che hai conquistato o che hai "meritato" tu per la tua bravura, per qualcosa che hai fatto. No. È semplicemente dono. Dono gratuito, di cui essere grato. E così non solo a tavola. E così anche nella vita. Essa diventa il luogo e lo spazio nei quali puoi fare esperienza della grazia. E, se tu vivi il senso profondo della gratuità e del dono, se ti lasci prendere dalla gratitudine e dalla gioia di questo, diventi tu stesso passatore di grazia e di bellezza. Diventi anche tu testimone e costruttore di festa. Diventi anche tu segno e legame di luce
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e di vita.
Così forse è stato per Nicodemo, il notturno ricercatore di Gesù. Viene da Gesù quando è notte, perché cerca la luce, che lui non ha,
cerca la vita, che spera piena. Dovrà fare un lungo cammino per vede-
re davvero la luce e per ricevere davvero la vita. Anzi, Gesù lo inviterà a venire alla luce radicalmente, a rinascere, per scoprire la radice
della vita. E, forse, Nicodemo lo farà davvero, se lo troviamo allo scoperto, alla luce, presso la croce di Gesù, quando tutti se ne andranno! Nell'incontro con Gesù, intanto, si mette sulle tracce della luce e della vita. E si lascia condurre a scoprire l'inatteso della vita nella bellezza del dono gratuito. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16). Gli dirà Gesù. Se vuole vedere la luce e se vuole scoprire la vita deve imparare a scoprire l'inatteso del dono. Là dove lui non penserebbe, là dove lui non vorrebbe. E il luogo che gli parrebbe negare la vita, come la croce, deve imparare a vederlo come il luogo nel quale, invece, splende la bellezza dell'amore e del dono, totale, generoso, gratuito. Per questo qui splende di vita! E Nicodemo ne scoprirà lo splendore, quando si avvicinerà al corpo privo di vita di Gesù, con Giuseppe d'Arimatea!
Anche la notte, così, può diventare il luogo nel quale si può scoprire la vita. Ed, allora, forse anche gli spazi del dramma del vivere possono lasciare intravedere una lama di luce e di grazia. Persino il lager per qualcuno è diventato luogo nel quale vedere e costruire speranza, per sé e per i propri fratelli! Scrive Etty Hillesum: «Sono tempi di spavento, mio Dio. Questa notte, per la prima volta, sono rimasta sveglia, nel buio: gli occhi brucianti; con immagini di indicibile sofferenza umana che mi scorrono incessantemente davanti. Ti prometto una cosa, mio Dio: mi guarderò dall'attaccare al giorno presente, come dei pesi, le angosce che mi ispira il domani... a ogni giorno basta la sua
pena. Cercherò di aiutarti, mio Dio, a non estinguerti in me. Ma non posso garantirti niente in anticipo. Una cosa però mi sembra sempre
più chiara: non sei tu che puoi aiutare noi, ma noi che possiamo aiutare te; e facendo questo aiutiamo noi stessi. E tutto ciò che ci è possibile salvare in questo momento, ed è anche la sola cosa che conta: un po' di te in noi, mio Dio».
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