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Parrocchia di San Lorenzo Martire - via Leone XIII, 15 - quartiere di Redona (Bergamo)
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02/04/2015
Giovedì Santo

INIZIO E LETTURE

OMELIA
 
Itinerario di Quaresima 2015
ALLA TAVOLA DI GESU'
7
Alla tavola del pane spezzato

Tante sono le tavole alle quali ci sediamo nella nostra vita. C’è senz’altro la tavola alla quale consumiamo i nostri pasti. Ed essa assume già tante forme, tante modalità: c’è una tavola quotidiana alla quale ci si trova per mangiare insieme, per condividere pezzi di vita. C’è la tavola alla quale ci si siede in fretta, senza aspettarsi, proprio per consumare ciò che è necessario per vivere. C’è la tavola che diventa luogo di scontro, di litigio, di rifiuto. C’è la tavola che è luogo di silenzi interminabili o di parole sentite solo dal televisore o da altri mezzi di comunicazione. C’è la tavola che prelude la separazione e la divisione. C’è la tavola della festa, che diventa gioia dell’incontro e dello scambio, che diventa possibilità di gustare insieme la vita. C’è la tavola alla quale si ha la gioia di scoprire la grazia e l’abbondanza della vita, la sua pienezza. Quella che ti consegna uno sguardo nuovo sulla vita, su te stesso, sugli altri. Ma tutte queste tavole – e ce ne sono altre ancora – raccolgono e dicono le tante altre tavole della vita: le varie piazze entro le quali ci incontriamo, il quartiere, la città, il mondo del web, la stanza da letto, intima, degli sposi. La sera del Giovedì santo tutte queste tavole – tutte le tavole della vita dell’uomo – le ritroviamo nella tavola attorno alla quale Gesù raccoglie la propria vita ed i propri amici. Anche qui stanno modalità diverse di vivere la tavola. Ci sono, a tavola, gli amici di Gesù. Raccolti da lui in un’intimità unica, quella che prelude la consegna di sé, quella che conosce la rarefazione dei momenti ultimi della vita, che non si vorrebbe mai sciogliere. Si trovano radunati così, ma accolti per come essi sono, nelle loro individualità, nei loro atteggiamenti diversi, nelle loro diverse disponibilità. C’è Simon Pietro, con la sua immediatezza e la sua incapacità ad accettare di essere cercato ed amato; con la sua esuberanza e la sua non disponibilità ad abbandonarsi. Dovrà fare i conti con la sua fragilità per riscoprire la gioia di essere amato e per accettare umilmente di mettersi in cammino. Fa fatica a stare a tavola e dovrà sperimentare la distanza da essa per imparare a sedersi ad essa in pienezza. C’è Giuda, con il suo tradimento, con la sua chiusura all’incontro, con la sua incapacità a capire, ad accogliere, ad amare. Egli è figura tragica, che ci si consegna nella sua libertà e

nella sua impenetrabilità, uomo che abita la notte e che, comunque, non resta escluso dai gesti di tenerezza e di attenzione di Gesù, ma che non riesce a sedere davvero a tavola. Se ne esclude egli stesso. C’è il discepolo amato, figura del discepolo autentico, che accoglie il dono del maestro e si consegna a lui, senza abbandonarlo. Egli siede a tavola e ne coglie la ricchezza e l’abbondanza. La vive nel suo dono e nella sua bellezza. Ci sono tutti gli altri, spettatori loro malgrado di un dono che li supera e che essi fanno fatica a capire e ad accogliere. Desiderosi di stare con Gesù, ma incapaci di affrontare il rischio per lui. Contenti di esserci ed, insieme, pronti alla fuga. Idealmente qui stanno anche tante altre figure, tanti altri personaggi, tante altre tavole vissute da Gesù. Ci sta Nicodemo, il notturno ricercatore di Gesù, che va da lui di notte, perché fa fatica a venire alla luce, ma che, finalmente, sotto la tavola della croce, viene alla luce ed accoglie il corpo di Gesù. O Maria di Betania, la donna che siede a tavola con Gesù ed anticipa sul suo corpo i gesti della sepoltura e dell’amore, profumando tutta la tavola con l’aroma preziosissimo dell’amore. Ci stanno le tavole di Betania, di Cana, dei poveri e dei peccatori, dei ricchi e degli umili, che siedono a mensa con Gesù e ne sperimentano accoglienza, amicizia, tenerezza, perdono. Tutte queste tavole e tutte queste figure si trovano riassunte qui, nella tavola della cena ultima e, insieme, dicono delle nostre tavole. Ma quella dell’ultima cena dice il senso di tutte. Lo dice come dono che si consegna, abbondante, senza la paura di non essere contraccambiato, capace di creare spazio a tutti, anche a chi lo rifiuta o lo disprezza o non accetta di sedere a tavola. È la tavola del dono. Del pane spezzato. Per amore. Del pane che viene consegnato come testamento d’amore. Del pane che raccoglie tutta una vita. E che raccoglie il sapore della morte, che diventa luogo dell’amore. Perché questa è la notte dei miracoli: l’odio viene trasformato in amore; la violenza diventa spazio del perdono; il tradimento diventa luogo dell’amicizia; la morte stessa diventa possibilità di consegna di sé. Radicale. Totale. E noi abitiamo questa tavola per nutrire ad essa tutte le nostre tavole. Con disponibilità.