La fede ai nostri giorni (1)
Carissimi
viviamo in un tempo di grandi mutazioni, che ci danno un senso di vertigine e di smarrimento. Siamo tentati da atteggiamenti di ripiegamento, di rifugio, di chiusura: di cui non siamo contenti. Manchiamo di respiro. A questo contribuisce anche l'opacità che ormai hanno per noi i cieli: la religione non ha più la consistenza di una volta. Questa chiusura dei cieli mette sul nostro mondo una cappa irrespirabile. Ci piacerebbe difendere Dio e la religione; ma ci troviamo intimiditi e confusi. Anche la nostra fede cristiana viene trascinata in questo vortice: anch'essa è diventata fragile e incerta. E siamo tentati dal silenzio e dalla paura. Il vangelo conosce questa nostra paura: esso, che è notizia buona per l'uomo, inizia sempre così: "Non avere paura". Non lasciamo che il vangelo venga trascinato via, appoggiandoci magari su qualcosa di più a portata di mano, come sono alcune "forme" religiose apparentemente rassicuranti. Investiamo sulla fede - sul vangelo di Gesù - e sulla sua capacità di essere buona notizia anche per l'uomo d'oggi.
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L'uomo può fare a meno di Dio?
L'umanità, in modi diversi, è sempre stata religiosa. Ha sempre cercato in un "altro" il principio e il segreto della vita che pulsa nell'universo e nell'uomo.
L'uomo moderno dell'Occidente ha inventato modi di vivere e pensare che hanno fatto arretrare e hanno pressoché emarginato la religione.
Ma l'uomo può fare a meno di Dio? Dio non è garante di un'idea dell'uomo? Probabilmente si tratta di pensare Dio e il suo rapporto con l'uomo diversamente.
Anche noi cristiani dobbiamo interrogare la nostra fede a partire da questa evoluzione della società umana, a partire dai "segni dei tempi". L'urgenza - forse - non è quella di salvare le forme e le istituzioni religiose, ma di salvare una certa idea di uomo di cui l'idea di Dio - quella del vangelo di Gesù - è garante. |