La fede ai nostri giorni (3)
Carissimi
lo sappiamo: è diventato complicato oggi essere cristiani. L'abitudine e la tradizione non bastano più a motivare anzitutto a noi stessi - il nostro dirci cristiani. L'andare in chiesa, il sentirci Chiesa perde di forza: e molte cose che ascoltiamo o pratichiamo ci paiono vuote e inconsistenti. La religione - quante volte ce lo siamo detti - ci appare tremendamente staccata dalla vita. Questa crisi degli aspetti religiosi della nostra vita cristiana ci sta aiutando - e spingendo - a scoprire il polo evangelico della nostra fede. Il vangelo di Gesù non ci chiede anzitutto delle appartenenze e delle pratiche religiose: ci chiede di amare il prossimo, di riconciliarci con i nemici, di darci da fare per la giustizia, di prenderci cura dei piccoli e dei poveri; di difendere e promuovere i valori di umanità. Se noi riscoprissimo questo polo evangelico della nostra fede andremmo incontro alle attese di una società come la nostra che è in affanno nel custodire la propria umanità ed è in attesa di una "buona notizia". E troveremmo anche la bussola per riformare e risvegliare gli aspetti religiosi del nostro cristianesimo. |
Cosa vuol dire essere cristiani?
La vita cristiana ha un "polo religioso" che è fatto di pratiche, di adesione a delle verità, di appartenenza a una comunità e a un'istituzione. Ed ha un "polo evangelico": l'accoglienza di una rivelazione di Dio che ci comanda l'amore del prossimo e il servizio all'uomo, ad ogni uomo considerato come fratello.
Oggi il cristianesimo non riesce più a proporsi come la religione che sta al centro della società e chiede a tutti di entrarne a far parte per avere la salvezza. Esso è chiamato a diventare testimonianza di un vangelo che dà senso alla vita, che propone una via buona, che ci chiede anzitutto di servire l'uomo, la causa dell'uomo, e di difendere la nostra umanità nelle sfide che abbiamo di fronte. I cristiani sono chiamati oggi, in nome del loro vangelo, a partecipare alla costruzione di un nuovo umanesimo.
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